After Shakespeare. DONATELLA MUSSO, LADY M. Divagazioni fra Shakespeare e Verdi prima di andare in scena

Nel melodramma ottocentesco, la cavatina è l’aria con la quale i personaggi di spicco si presentano, quella che cantano alla loro prima entrata in scena, una sorta di autoritratto, insomma, nel quale si traccia un primo profilo del personaggio e, al tempo stesso, si fornisce all’interprete una buona occasione per mettere in mostra le risorse della sua voce. A volte, il virtuosismo coincide con un narcisismo travolgente, come nella celeberrima cavatina di Figaro “Largo al Factotum”; in altri casi, il disegno dell’autoritratto segue sentieri più indiretti, come nel caso della Lady Macbeth di Verdi. Nella stesura del libretto, Francesco Maria Piave lavora, diremmo oggi, “asciugando” la drammaturgia di Shakespeare: Verdi gli sta alle costole (a lui come a tutti gli altri suoi librettisti), e per quanto la sua devozione per Shakespeare sia quasi religiosa, la sua attenzione alla sceneggiatura è ferrea: in un  melodramma, la parola dev’essere lo scheletro, una struttura bilanciata e funzionale sulla quale il compositore crea il complesso discorso musicale. Tornando a Lady Macbeth, le entrate in scena delle protagoniste di Verdi e di Shakespeare avvengono nello stesso punto della trama; anche la situazione scenica è identica: leggono la lettera nella quale il marito, Macbeth, racconta come le tre streghe gli abbiano profetizzato l’ascesa al trono. La sintesi che caratterizza (forzatamente) il libretto di Piave plasma una Lady Macbeth crudamente pragmatica; “Ma sarai tu malvagio?” è una domanda terribilmente diretta; non so perché, mi evoca, grazie a una vertiginosa attualizzazione, la reazione di una moglie manager dei tempi nostri di fronte alla profezia che il marito, un intelligente e svagato economista, diventerà Direttore Generale di Mediobanca: “, Speriamo che abbia le palle…” Ma il dubbio della Lady è passeggero perché la cavatina si conclude con un imperativo che, nonostante la forma arcaica, è di una chiarezza che non ammette repliche: “Ascendivi a regnar”, come a dire: “Se capita l’occasione, prendila al volo senza tante storie”.

https://www.youtube.com/watch?v=avcT52vTeE8

 

 Verdi, Macbeth, SCENA V

Atrio nel castello di Macbeth che mette in altre stanze. Lady Macbeth leggendo una lettera.

LADY “Nel dì della vittoria io le incontrai/ Stupito io n’era per le udite cose;/ Quando i nunzi del Re mi salutaro/ Sir di Caudore, vaticinio uscito/ Dalle veggenti stesse/ Che predissero un serto al capo mio./ Racchiudi in cor questo segreto. Addio.”/ Ambizioso spirto/ Tu sei MacbettoAlla grandezza aneli,/ Ma sarai tu malvagio?/ Pien di misfatti è il calle/ Della potenza, e mal per lui che il piede/ Dubitoso vi pone, e retrocede!/ Vieni t’affretta! Accendere/ Ti vo’ quel freddo core!/ L’audace impresa a compiere/ Io ti darò valore;/ Di Scozia a te promettono/ Le profetesse il trono…/ Che tardi? Accetta il dono,/ Ascendivi a regnar.

Simili divagazioni sulle riscritture shakespeariane mi vengono suggerite da questi ultimi giorni di lavoro sul testo di Donatella Musso, Lady M, con Carlotta Viscovo (la Lady), Maria José Revert (il Coro) e il tecnico Mauro Panizza. Anche questa Lady M, nel linguaggio metrico del testo presenta, a suo modo, una cavatina: “Quello che è fatto non si può disfare./ Conoscevo la strada fin da bambina/ dio, incoronami di rose di dolori/ dolori dei miei nemici sanguinanti / nemici cui farò cavare gli occhi/ dio, dammi la verità dentro/ sferica come una luce / perfetta/ io non ho bisogno di racconti. Qui Macbeth, l’asse debole della tragedia, non c’è, è stato inghiottito da un preambolo mai scritto e ha lasciato alla moglie il compito disostituirlo in una missione che ha come finalità non il potere, ma la morte, paradossale riscatto di una condizione femminile che può assaporare solo nell’estremo sacrificio l’ebbrezza di un bestiale ruolo maschile.

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