IL RACCONTO DEL TEATRO. Fra la Terra e il Cielo. Maurizio, l’uomo della pietra.

Porta Palazzo, Torino. L’uomo sta tracciando col gesso un perimetro che comprende una decina di lastroni. È il suo palcoscenico. L’uomo indossa già il costume, un paio di pantaloni approssimativi e una maglietta; nei mesi più caldi, sta a torace nudo. È domenica, mattinata tarda. In quegli anni (Settanta) la gente, molti immigrati dal sud, con o senza moglie, andava più a messa di quanto non faccia oggi. Forse gli sfaccendati che guardano l’uomo con un sorrisetto sono laici, forse stanno tornando dalla chiesa. Quando il palcoscenico (il perimetro di gesso) è pronto, al suo centro è comparsa una grossa pietra, un lastrone della piazza; questo è il plot, la sfida, l’antagonista, la macchina teatrale. Simbolicamente, è il Destino. L’uomo si chiama Maurizio Marletta, ma in questo momento è un eroe, collega di Prometeo e di Sisifo; rispetto a loro è anche drammaturgo di se stesso e sa come si costruisce un copione mentre lo si agisce. Percorrendo avanti e indietro il proscenio, l’uomo guarda il pubblico negli occhi. Il prologo, diretto e di forte impatto, giunge subito all’enunciato centrale: “Riuscirà questa merda di uomo a sollevare quella pietra?”. I sorrisi si spengono subito perché ogni spettatore, anche il meno avvezzo alla retorica, formula all’istante un sillogismo: se colui, con quel torace e quelle braccia come tronchi, si definisce una merda di uomo, chi sarò mai io, con le mie gambuzze infilate nei pantaloni a zampa da elefante e col mio toraciuzzo che serve solo da appendiabiti a una giacca dai rever improponibili?
Dopo il prologo, Maurizio sviluppa un dialogo senza risposta con le Divinità: loro (e alza gli occhi al cielo pagano) possono tutto, ma l’uomo/merda non desiste: affronterà la pietra con l’aiuto di quelle stesse Divinità, nonostante sia da esse deriso (gli altri uomini non vengono mai menzionati: che se ne stiano al loro posto di pubblico/merda). Il dialogo di Maurizio e i Superni Abitatori è intenso, si rinnova tutte le domeniche mattina; fra l’Immanenza e la Trascendenza c’è un’autostrada sulla quale l’Uomo della pietra è un pendolare. Qualcuno alza lo sguardo verso le nuvole, come se di lassù qualcuno potesse rivelarsi in trasparenza. Ed è a questo punto che Maurizio affronta la pietra inducendo tutti i presenti a tornare sulla terra.
La catarsi è lunga e drammatica. La pietra viene sollevata, infine, e mostrata al popolo (con una mano sola) come la testa ancora sanguinante di un mostro che si chiama Fatica.

 

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