IL RACCONTO DEL TEATRO. Glauco Mauri, La ghigliottina.

 

Abbiamo incontrato Glauco Mauri in occasione delle repliche di Una pura formalità, dal film di Giuseppe Tornatore e con versione teatrale e regia dello stesso Mauri, in scena al Teatro Astra lo scorso gennaio.

Con questo ricordo degli esordi teatrali di un giovane (ma profetico) Glauco Mauri si inaugura una serie che abbiamo intitolato Il Racconto del teatro:

 

Era il 1946, io avevo 15 anni e tre mesi. Frequentavo la parrocchia di Sant’Agostino, passavo il tempo giocando a ping pong e un giorno un mio amico mi disse: “Glauco, apriamo un teatrino in una chiesa sconsacrata, qui vicino. Faremo una commedia, ‘La notte del vagabondo’. Vuoi venire a suggerire?”. Ci andai. Avevo ancora i calzoncini corti, e ricordo come mi sono sentito lì, in quella buca. Il direttore di allora, Mario Lazzari, un meccanico, fu colpito talmente da come mi ero appassionato a suggerire le battute, che mi fece salire sul palco, e mi affidò il ruolo di protagonista maschile: un giovane scapestrato che era fuggito da casa, e che vi ritornava per dare l’ultimo saluto al padre morente.
Debuttammo il 1 gennaio 1946, ricordo che c’era il vescovo in prima fila. La commedia finiva con una mia battuta davanti al padre defunto in poltrona: “ Papà, papà, perdono, perdono”.
La pronunciai, ma il sipario, fatto artigianalmente, a ghigliottina, che si sarebbe dovuto chiudere immediatamente dopo, si fermò a metà. Non sapevo cosa fare. A un certo punto il morto papà si destò ed esclamò: “La commedia finisce qui”. Ci furono grasse risate, e applausi.
Mi ricordo che, mentre salutavamo il pubblico, guardai quel sipario rimasto lì, a metà e pensai per la prima volta che sarebbe rimasto così, per me, alzato, per lungo tempo.

 

Glauco Mauri

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