Che cosa mangiano I Tre Moschettieri?

Che cosa mangiano I Tre Moschettieri?

Alcune studentesse e alcuni studenti del Corso di Laurea in Culture e Letterature del mondo moderno, coordinati dalla prof.ssa Franca Bruera e dalla dott.ssa Krizia Bonaudo, hanno portato avanti un progetto nell’ambito del corso Geografia e Storia della Letteratura francese. Tale progetto vuole ripensare la letteratura in relazione ai principali sviluppi storico-culturali, geo-politici e sociali di riferimento, rileggere la letteratura non soltanto in relazione alla centralità del modello metropolitano parigino, ma anche e soprattutto nell’ottica di una pluralità di centri d’osservazione legata a spazi e luoghi periferici, rileggendo la letteratura come rete di relazioni tra luoghi geografici e dell’immaginazione  Il progetto è nato in collaborazione con il Teatro Piemonte Europa (TPE), in occasione della rappresentazione in otto puntate de I Tre Moschettieri di Alexandre Dumas.
Le studentesse e gli studenti del corso di Letteratura francese hanno rilevato come Dumas fornisca informazioni sulle specialità e sui vini più prelibati dell’epoca e metta in guardia dai cibi “meno nobili” e sui luoghi in cui vengono consumati. É possibile individuare una mappa gastronomica dei cibi e dei vini che Dumas nomina ne I Tre Moschettieri:
PRIMI: Minestra
SECONDI: Filetto d’agnello; Filetto di vitello; Fricandò; Lepre; Oca; Ossa di montone; Pesce.; Petto di pollo; Pollo arrosto; Prosciutto; Vitello ai cardi; Blanc de Volailles
CONTORNI: Uova alla coque; Verdure miste; Formaggi; Fave; Piatto di spinaci; Legumi misti
DOLCI: Marmellata di mele cotogne; Dolce di mandorle e miele; Cioccolata; Frutta mista
CARTA DEI VINI: Chabertin; Collioire; Eau-de-vie; Rhum; Vin d’Espagne; Vin de Beaugency; Vin de Bordeaux; Vin de Bourgogne; Vin de Champagne; Vin de Malaga; Vin de Montreuil
Ed ecco alcuni passaggi del romanzo (Il testo di riferimento è Alexandre Dumas, Les TroiMousquetaires, 1844 http://www.ebooksgratuits.com/) in cui Athos, Porthos,  Aramis e d’Artagnan parlano di prelibatezze di vario genere:

Ce dîner se composait de viandes galamment troussées, de vins choisis et de fruits superbes.

« Ah ! pardieu ! dit-il en se levant, vous arrivez à merveille, messieurs, j’en étais justement au potage, et vous allez dîner avec moi.

Oh ! oh ! fit d’Artagnan, ce n’est pas Mousqueton qui a pris au lasso de pareilles bouteilles, puis voilà un fricandeau piqué et un filet de boeuf…

Je me refais, dit Porthos, je me refais, rien n’affaiblit comme ces diables de foulures ; avez-vous eu des foulures, Athos ?

Pardieu ! répondit d’Artagnan, moi je mange du veau piqué aux cardons et à la moelle.

Et moi des filets d’agneau, dit Porthos.  Et moi un blanc de volaille, dit Aramis.

Au lieu de poulet, un plat de fèves fit son entrée, plat énorme, dans lequel quelques os de mouton, qu’on eût pu, au premier abord, croire accompagnés de viande, faisaient semblant de se montrer.

Le tour du vin était venu. Maître Coquenard versa d’une bouteille de grès fort exiguë le tiers d’un verre à chacun des jeunes gens, s’en versa à lui-même dans des proportions à peu près égales, et la bouteille passa aussitôt du côté de Porthos et de Mme Coquenard.

Porthos mangea timidement son aile de poule, et frémit lorsqu’il sentit sous la table le genou de la procureuse qui venait trouver le sien. Il but aussi un demi-verre de ce vin fort ménagé, et qu’il reconnut pour cet horrible cru de Montreuil, la terreur des palais exercés.

Quando i moschettieri diventarono quattro

 

Come in un castello che pretenda di essere romantico deve aggirarsi un fantasma, così in un romanzo, e ancor più se si tratta di un classico, deve annidarsi, nel buio di qualche suo angolo, un irrisolto, un mistero piccolo, che il processo ermeneutico non prende in considerazione ma che si lascia scorgere dal lettore più ingenuo – ad esempio un ragazzo che privilegi i sentieri dell’avventura ignorando quelli della scrittura. La mia lettura de I tre moschettieri risale all’adolescenza, quindi fu vorace e soprattutto emotiva; mi divertiva la guascona spavalderia di D’Artagnan che lo spingeva a sfidare tre temibili spadaccini uno dopo l’altro, ma al tempo stesso, poiché m’identificavo con quel ragazzotto, tremavo per lui come per un mio coetaneo che provocasse temerariamente i professori di greco, latino e matematica. Proseguendo nella lettura, quando il giovanotto fu accettato dai tre maestri e incominciò a condividere con loro la buona e la cattiva sorte, mi sembrò che Dumas avrebbe dovuto ripensare al titolo del suo romanzo (ne avrebbe avuto tutto il tempo, erano trascorse poche pagine) cambiandolo ne “I quattro moschettieri”; in tal modo si sarebbe evitata quell’ingiusta discriminazione generazionale che confina D’Artagnan nel ruolo di eterno precario della spada. A questo titolo, insomma, mi è sempre sembrato che mancasse un centimetro, ma, ripensandoci, si tratta di una zoppia amarognola e leggiadra che arricchisce il romanzo come, secondo alcuni, il leggero strabismo degli occhi di una bella donna.

Sfumature. Che svanirono quando i moschettieri divennero quattro nella reinvenzione radiofonica di Nizza e Morbelli, che conobbe quattro edizioni, dal 1934 al 1937. Di questa impresa multimediale ci sono giunti pochi reperti (uno ve lo proponiamo con questo link: https://www.youtube.com/watch?v=zXRHDIzdL1g). Per un puro caso (anagrafico), fui testimone dell’onda lunga generata da “I quattro moschettieri”; erano passati più di quindici anni e ancora si ricordavano le follie dei collezionisti per l’introvabile figurina del Feroce saladino; il libro, pubblicato dalla Buitoni/Perugina, era conservato con una cura che rasentava la devozione; qualche volonteroso eseguiva al pianoforte gli spartiti delle canzoni, che peraltro molti canticchiavano ancora (“Sta Luigi, re di Francia,/con tre pulci sulla pancia;/ una salta, l’altra vola,/l’altra tira alla pistola”; “Avevo un cagnolino pechinese…”). L’immersione del romanzo di Dumas nel metatemporale e al tempo stesso nella contemporaneità fu radicale: grazie all’onnipotenza del mezzo radiofonico, i Quattro si spostavano dalla Francia di Luigi XIII alla Russia, per far visita alla Grande Caterina, poi a Hollywood, dove incontravano i giovani divi del cinema americano, da Clark Gable a Marlene Dietrich. L’incidenza della trasmissione sui tempi era rafforzata da un solido (?) aggancio con la merce e il consumo. Tra le iniziative promozionali che la Buitoni/Perugina abbinò alla trasmissione, di particolare successo fu il concorso a premi basato sulla raccolta di figurine contenute nelle confezioni dei prodotti dello sponsor – tavolette di cioccolata, per lo più: una figurina per ogni tavoletta. Chi riusciva a completare centocinquanta album vinceva vincere l’utilitaria Topolino. Tra il luglio del 1936 e il marzo del 1937 ne furono distribuite ben duecento. Che cosa rimase del romanzo di Dumas, investito da questo turbine multimediale? Lo scheletro, ma non solo: miracolosamente, i disegni delle figurine (firmate da Angelo Bioletto) calavano in un corpo (grafico) i quattro protagonisti, caratterizzandoli meticolosamente sulle fisionomie di Dumas; nasceva così un’inquietante tensione fra l’immagine, ancora profumata di cioccolato, e l’inafferrabile delle voci radiofoniche; l’ascoltatore, per la prima volta, veniva coinvolto non solo tramite l’udito ma anche la vista e, in qualche modo, l’olfatto e il gusto. Con la promozione di D’Artagnan a quarto, effettivo moschettiere, l’alone romantico che aveva avvolto i tre eroi originari si era dissolto ed era stato sostituito dal canto delle sirene di una cultura di massa che dopo qualche decennio sarebbe diventato il grande corale in cui tutto si fonde.

 

 

I TRE MOSCHETTIERI: dall’inchiostro al palcoscenico

Intorno ai Moschettieri sono stati pensati degli incontri di approfondimento, in collaborazione con l’Università degli Studi di Torino: alcuni docenti, attraverso specifiche lezioni all’interno degli spazi del Teatro Astra, coinvolgono registi, scenografi, costumisti, attori e tecnici che fanno parte del progetto de I Tre Moschettieri in 8 puntate e offrono la possibilità di brevi incursioni in palcoscenico per assistere all’allestimento delle puntate. Martedì 23 febbraio si è tenuta la lezione della prof.ssa Eva Marinai dal titolo “Dalla narrativa alla scena: un Trionfo per I Tre Moschettieri”, caratterizzata da un’introduzione sul feuilletton (in particolare sul rapporto tra narrazione e teatro) e poi da un incontro-intervista con Beppe Navello, per indagare il passaggio dalla scrittura drammaturgica di Aldo Trionfo per I Tre Moschettieri alla messa in scena, dal primo esperimento a oggi, al Teatro Astra. Due allieve del corso di Storia del teatro della prof.ssa Marinai hanno raccontato questo incontro:

Da una collaborazione tra la Fondazione TPE e l’Università di Torino è nata l’idea di partecipare ad una lezione-incontro tra la nostra docente di Storia del Teatro, Eva Marinai, e il direttore della Fondazione, Beppe Navello, in occasione della realizzazione de I tre Moschettieri. L’incontro al Teatro Astra, dal titolo “Dalla narrativa alla scena: un Trionfo per I tre moschettieri”, cui hanno partecipato circa sessanta studenti del corso di studi in Lettere, si è svolto durante la mattina del 23 febbraio con la testimonianza di Beppe Navello ed è proseguito fino al tardo pomeriggio con le prove di Gigi Proietti. Dopo un’introduzione in cui la docente, Prof.ssa Marinai, ci ha parlato del feuilletton e del rapporto tra narrazione e teatro, leggendoci alcuni passi tratti da alcune Note di regia di Aldo Trionfo (autore del testo drammatico tratto dal romanzo d’appendice) sul tema “diegetico-mimetico”, ci ha raggiunti il regista e direttore del Teatro Beppe Navello, per l’incontro-intervista sulla messa in scena dei Tre moschettieriStagione 1986/1987.

Si tratta della prima volta in cui Beppe Navello, allora direttore del Teatro Stabile dell’Aquila, oggi alla guida della Fondazione TPE (Teatro Piemonte Europa) con sede al Teatro Astra di Torino, decide di sperimentare lo spettacolo seriale attraverso la messa in scena del famoso romanzo d’appendice di Dumas, I Tre Moschettieri. Il successo è immediato, le dodici puntate infatti raggiungeranno il tutto esaurito. 

“Un romanzo che ha segnato la mia giovinezza e che tutt’ora considero uno dei più grandi capolavori della storia della letteratura”, sono le parole d’esordio del nostro incontro con il regista, che a distanza di trent’anni decide di impegnarsi nuovamente nel progetto e nella messinscena del primo episodio dei Tre moschettieri (riadattato per il teatro da Aldo Trionfo), avvalendosi, per le successive puntate (su drammaturgia di Ettore Capriolo, Ghigo De Chiara, Aldo Nicolaj, Renato Nicolini), di una fiorente collaborazione di altri registi italiani di rilievo, alcuni di essi già collaboratori della versione anni Ottanta: Ugo Gregoretti, Gigi Proietti, all’epoca assieme a Maurizio Scaparro, Mario Missiroli e Attilio Corsini, mentre oggi con Piero Maccarinelli, Myriam Tanant, Andrea Baracco, Robert Talarczyk, Emiliano Bronzino, affiancati dal medesimo scenografo di allora: Luigi Perego.

Libertà, amicizia, coraggio e lealtà sono alcuni degli ingredienti principali di quest’avventura letteraria ornata da intrighi amorosi e da tradimenti, che sul palcoscenico prende vita in forma comico-musicale, di vaudeville, grazie alla trasposizione scenica dei drammaturghi sopracitati e alle note del compositore Germano Mazzocchetti.

Navello, regista del testo di Trionfo, evoca gli incontri con il grande artista genovese: “Ricordo benissimo quando andai a Genova da Aldo Trionfo. Lo avevo conosciuto anni prima durante la sua direzione al Teatro Stabile di Torino. Era l’estate del 1986 e gli volevo chiedere se, accanto a Missiroli, Gregoretti e Proietti, mi avrebbe firmato la regia di una delle puntate de I Tre Moschettieri che sarebbe andato in scena all’Aquila dal 12 dicembre di quell’anno per tutta la stagione. Mi rispose che non ce l’avrebbe fatta, era già stanco e malato; ma che sarebbe stato felice di scrivere l’adattamento dal romanzo di Dumas”. Così le parole di Navello, velate da una leggera malinconia, ci conducono nella genesi di questo straordinario kolossal teatrale.

Un’avventura memorabile dunque, che oggi viene rinnovata al Teatro Astra, grazie a una nuova sollecitazione del Ministero che chiede ai Teatri Nazionali o a Rilevanza culturale di diventare stabili nel proprio territorio, costruendo da un lato un rapporto duraturo con il proprio pubblico, e assicurando, dall’altro, una continuità di lavoro e di crescita professionale ai giovani attori italiani. Un nuovo viaggio che non vuole, però, essere un semplice revival: se infatti una certa continuità con il passato è data dalla presenza di alcuni dei protagonisti di allora nella direzione, però, di una valorizzazione dei giovani attori, gli elementi di novità non mancano. Il numero di puntate è stato, infatti, ridotto notevolmente, passando da dodici a otto, e i copioni hanno “subìto” un ulteriore processo di riscrittura e attualizzazione.

La differenza con il passato è evidente anche nell’allestimento scenografico, realizzato da Luigi Perego in collaborazione con il Teatro Regio di Torino, che segue una pianta rettangolare che abbraccia e coinvolge l’intero pubblico, creando uno spazio scenico immerso tra gli spettatori, i quali si trovano a contatto diretto con i corpi degli attori.

Un salto nel tempo in una Parigi seicentesca dai tetti rossi, che per sessanta minuti catapulta lo spettatore in una scenografia tutta interattiva, a dir poco “tridimensionale”, e che gli permette di evadere dal capoluogo piemontese anche grazie a un’insolita dimensione olfattiva delle piazze parigine, ricreata da un delicato effluvio dalla ditta artigianale di profumi Tonatto. Come in tv, infatti, gli attori proporranno dei caroselli: ad ogni puntata l’azione verrà interrotta per trenta secondi al fine di promuovere gli sponsor che hanno finanziato tale progetto.

Un’attenzione di non poco conto quindi quella verso il pubblico, che diventa protagonista, insieme agli attori di un momento che si potrebbe definire di festa collettiva.

A conclusione del nostro incontro, Navello ci spiega come la ragione principale di riprendere in mano questo progetto nasca, oggi come allora, dall’esigenza di sostenere il lavoro giovanile. La compagnia è infatti composta da quaranta giovani attori prevalentemente under 35, di cui annotiamo solo qualche nome: Luca Terracciano (D’Artagnan), classe ’88, diplomato presso la Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova, attivo anche nel cinema e nella televisione; Daria Pascal Attolini (Milady) classe 82, diplomata alla Paolo Grassi nel 2007; Alberto Onofrietti (Athos); Diego Casalis (Porthos); Marcella Favilla nel ruolo di Anna d’Austria, regina di Francia. Infine, aggiunge: “la selezione del cast ha creato non poche difficoltà, poiché i nostri giovani ragazzi dovevano saper cantare, ma alla fine tutto si è risolto per il meglio e ci siamo divertiti parecchio”.

 

Sabrina Ventrone e Martina Di Nolfo